Babariol babariol babarian

Lancelot Bibl Arsenal
Roberto Gagliardi
Data di pubblicazione

Nella Canzone del Gatto Rosso ("Farai un vers, pos mi sonelh") Guglielmo Conte d'Aquitania, il "primo trovatore", racconta una strana storia. Una storia di sesso trasgressivo: il Conte (o, quanto meno, l'uomo che corrisponde a colui che racconta la storia in prima persona), dopo aver superato una bizzarra "prova", alla fine si sollazza energicamente per nove giorni [1] con due donne, realizzando prestazioni veramente maiuscole (centoottantotto rapporti carnali, "las fotei ... cent et quatre-vinz et ueit vez") tanto da rischiare un definitivo sconquasso del proprio apparato genitale [2]. Le due signore vengono indicate per nome e per casato (anche se si ipotizza generalmente che i nomi siano falsi), ed è chiaro che non si tratta di mercenarie: sono N'Agnes moiller di En Guari e N'Ermessen moiller di En Bernart (Donna Agnese moglie di Ser Guarino e Donna Ermesenda moglie di Ser Bernardo) [3]. Ed è indicata esplicitamente la regione in cui si svolge la prodigiosa e adultera impresa: l'Alvernia, oltre il Limosino ("en alvernhe, part Lemozi"). 
Quando Guglielmo giunge in questa regione, incontra [4] le due donne, che, per prime, lo salutano in modo "modesto" (simplamentz) in nome di San Leonardo, rivolgendosi a lui come a un "pellegrino", peleri. L' astuto conte si guarda bene dal declinare le proprie generalità, anzi risponde facendo il muto, e senza dire niente [5] emette suoni inarticolati, che il testo stilizza in monemi da filastrocca: "Babariol, babariol / Babarian". 
Tanto basta alle due donne per vedere nel pellegrino la consolazione delle loro libidini. Ed ecco che lo accolgono con amore e sollecitudine, lo sfamano in maniera sontuosa ("a manjar mi deron capos", da mangiare mi dettero capponi) e si apprestano ai lunghi congressi carnali prima citati. Ma prima vogliono essere sicuri che l'aitante sconosciuto non possa tradirle, andando a raccontare le loro imprese: perché sembra chiaro che quello è l'uomo adatto per loro, in quanto è muto (N'Ermessen ha detto a N'Agnes: "Sorella, ospitiamolo per l'amor di Dio, perché è proprio muto, e nessuno potrà sapere da lui le nostre decisioni"). E lo sottopongono quindi ad una prova violenta, decisiva nel suo sadismo. 
Lo strumento è un gatto rosso, l'enoios ("il malvagio"), grande e grosso e con lunghi baffi. Un gatto che deve essere stato lungo quanto un uomo, perché viene sistemato sul povero pellegrino in modo da coprirgli tutta la schiena, arrivando fino ai piedi. L'uomo è nudo, ormai ("e.m despollei per lor grat", io mi spogliai secondo la loro volontà) e il gatto "malvagio e infido", ma palesemente docile alla volontà delle libidinose padrone, viene assicurato alle spalle e alle caviglie, gli artigli del gatto direttamente nella carne dell'uomo. Poi le donne cominciano a tirare la coda del povero felino: che, giustamente, graffia il supporto su cui è stato sistemato. E suonano così a lungo questo strumento, facendo più di cento piaghe al malcapitato pellegrino: che stoicamente sopporta il tutto, e afferma che non si sarebbe mosso nemmeno se lo avessero ucciso. Dopo di che, naturalmente, c'è la ricompensa, e i tre porteranno a termine la lunga performance sessuale di cui parlavo all'inizio. 
È stata notata la contraddizione tra la capacità di resistenza al dolore del Conte, che in tal modo testimonia la sua discrezione, e l'esibizione dei nomi e quasi dell'indirizzo delle due donne, sposate fra l'altro, e localizzabili all'interno dei domini feudali di Guglielmo (che quindi svergognerebbe dei suoi vassalli). E questo è stato messo sul conto del cinismo trasgressivo del Conte di Poitiers, descritto dagli antichi come un impenitente "donnaiolo", e visto dai moderni addirittura come una sorta di antenato medievale di Don Giovanni [6]. L'intera storia, sia che la si ritenga "costruita", sia che si pensi ad una trasfigurazione letteraria di dati reali, è stata letta come segno di misoginia (nascente da una visione esasperata del desiderio sessuale femminile, che genera paura mascherata da disprezzo) [7] o, ancora, come il frutto di un atteggiamento parodistico [8] di fronte ai dogmi dell'amor cortese (la "pazienza" di Amante, la sua obbedienza puntuale ad ogni desiderio anche irragionevole di Madonna). Nessuno sembra voler prendere sul serio Guglielmo, accettando che in una poesia di questo genere egli parli di cose serie e, almeno per lui, vere: usando, certo, una forma grottesca e discutibile, ma non più di quello che farà, fra qualche secolo, Hieronymus Bosch, o Dante quando costruisce il suo "Inferno". 
Pure, la storia sembra semplice, se si riesce a non perdere di vista le sue linee fondamentali: che sono la dimostrazione da parte del "conte" di sapersi mantenere "muto", ed il dono di gioia che nasce per lui dal superamento di questa "prova iniziatica". Gioia espressa mediante l'enfasi della sessualità ("las fotei ... cent et quatre-vinz et ueit vez"), ma trasferibile facilmente dal registro carnale a quello della spiritualità. Che è poi uno dei modi fondamentali in cui va intesa la parola chiave provenzale "joya", così spesso riferita sia alle estasi della separazione (l'amor lontano di Jaufre' Rudel) che a quelle del contatto fisico fra Amante e Madonna: è noto che presso i provenzali l'unione amorosa dei corpi non è esclusa con quella rigidezza che troviamo nella poesia d'amore del Dolce Stil Nuovo. 
Che la prova del gatto rosso sia "iniziatica" sembrerebbe quasi ovvio: il "pellegrino" deve rimanere "muto", mutz, nonostante il dolore, deve cioè tacere anche a prezzo della vita. Che è la legge generale e antichissima di ogni "mistero": parola, del resto, che deriva dal verbo greco myein, "stare con la bocca chiusa, tacere". Il rispetto di questa legge porta l'Iniziato a godere il piacere supremo (la visione di Dio, la comprensione delle cose, o che altro prometta il singolo "mysterion"). 
Questa vicenda essenziale è raccontata nella canzone del Gatto Rosso, con il semplice (e medievale) espediente di volgerla dallo spirituale al materiale. Il sesso/piacere sta per la gioia iniziatica, il gatto malvagio e fellone per le ardue prove da superare, le donne per i Custodi e le guide del Cammino, il pellegrino infine per l'aspirante iniziato. La canzone offre anche altre tracce a chi ricerchi una interpretazione di questo genere: la condizione di "pellegrino" del protagonista, i "nove" giorni durante i quali si svolge il congresso erotico, il numero 188, che interpretato secondo la numerologia di ascendenza pitagorico-cabalistica enfatizza il tema della protezione divina (8 è il numero della giustizia e della protezione, 80 significa di nuovo protezione e salvezza, 100 si legge come "favore divino"), lo stesso simbolo del gatto (si pensi alla "lonza" dantesca). E possono essere facilmente integrati in questa prospettiva il riferimento a San Leonardo (esisteva nei domini del Conte un santuario dedicato a questo santo, oggetto di pellegrinaggi) e i nomi di Agnese e di Ermessenda, portati da due pie antenate di Guglielmo (una prozia e una nonna), seguaci di San Pier Damiani. 
Non c'è bisogno di ricorrere alla vecchia equazione poesia trobadorica=catarismo, per accettare questa ipotesi. Basta ammettere che il segreto iniziatico a cui il "pellegrino" si dimostra così fedele sia una qualsiasi forma o un qualsiasi livello di conoscenza spirituale. La poesia del resto non allude a nessuna "conoscenza" specifica: si limita ad affermare due cose: che tenere fede al segreto implica sofferenza, e che colui che sarà capace di affrontare tale sofferenza ne ricaverà abbondanti gratificazioni. Lo stesso messaggio che viene fuori da un'altra storia con cui questa di Guglielmo può essere utilmente confrontata: la novella boccacciana di Masetto da Lamporecchio (Decameron, III, 1) 
Anche quella di Masetto è una storia "sconveniente". Questi è un giovane vigoroso e povero, che fingendo di essere muto e un po' sciocco, riesce ad essere assunto come uomo di fatica presso un convento di monache. Che, approfittando del suo mutismo, si danno ai piaceri della carne con lui, finché Masetto, che pure aveva cercato questa situazione, si trova in difficoltà perché deve soddisfare tutte le donne del convento, compresa la badessa: e ad un certo punto fingerà di aver recuperato la voce "per miracolo", e diventerà l'amministratore (il castaldo) del convento, sistemandosi definitivamente. 
Anche Masetto, come il "pellegrino", supera la prova del mutismo iniziatico, ottenendo piaceri di tipo sensuale in misura iperbolica. Anche Masetto per raggiungere lo scopo si trasforma in una sorta di pellegrino ("in guisa di povero uomo se n'andò al monistero"). Anche lui quando viene cercato dalle prime due monachine (in queste storie le donne sembra che si propongano sempre a due per volta!) risponde con una sorta di "Babariol" per rassicurarle[9]. Anche in questa storia ritorna il numero nove, chè otto sono le monache, più la badessa: ed è soprattutto questa ultima occorrenza che ci permette di collocare la novella boccaccesca sulla scia della poesia di Guglielmo. 
Il confronto ci dice che il modo piccante che il Conte di Poitou usa per parlare delle cose dell'anima non era stato dimenticato due secoli e mezzo dopo. E che bisogna stare attenti a tacciare di insensatezza o di "bassa voglia" quello che è soprattutto un modo espressivo, il portato della tendenza medievale ad allegorizzare. Lo scandalo, spesso, è solo nei nostri occhi. 

Note Bibliografiche

1 Il testo dice più cripticamente "ueit jorn ez ancar", otto giorni e ancora (v. 77) 
2 "que a pauc no.i rompei mos corretz / e mos arnes", che per poco non ci ruppi il mio apparato e i miei arnesi (vv. 81/82) 
3 L'attribuzione del marito la si può fare tenendo conto dell'ordine in cui compaiono i nomi delle donne e degli uomini. 
4 "incontrai", trobei, v. 15. L'espressione dà il senso di un incontro casuale, o, meglio, fuori del tempo: cfr. il più famoso "mi ritrovai" con cui Dante introduce il suo smarrimento nella selva, al v. 2 del I canto dell'Inferno. 
5 ni bat ni but, (v. 26): un po' come senza dire "nè ài nè bài" 
6 "Il conte di Peitieus fu uno ... dei maggiori seduttori di donne ... E andò spesso in giro per ingannar le donne": così recita la "Vida" di Guglielmo 
7 Jean-Charles Huchet, L'amor Discortois, Editions Privat, Toulouse 1987, pp. 91 sgg. 
8 Costanzo Di Girolamo, I Trovatori, Torino 1989, pp. 49-59. Di fronte alla tesi del quale, l'argomento contrario pi— forte sembra essere quello che Guglielmo è, appunto, il "primo" trovatore: e anche se questo titolo non esclude che ci sia stata una produzione intorno a lui, o anche "prima" di lui, non sembra che ci sia stato il tempo perchè certi stilemi si diffondessero così largamente e profondamente da rendere plausibile e pensabile una parodia così feroce. 
9 "per che costei con atti lusinghevoli presolo per la mano, ed egli faccendo cotali risa sciocche, il menò nel capannetto" 

L'Unicorno, a.4 n. 1 gen - mar 1993, p.1-2